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N°23

 

LA TIGRE

 

Una discarica del New Jersey non era di certo il posto ideale per passare il sabato sera, ma per il giovane  Peter Fowler non si era trattato di una scelta spontanea; due energumeni lo avevano prelevato dalla sua Toyota e ce l’avevano portato  a forza, puntandogli una pistola.

Pete non aveva fatto domande, non aveva chiesto perché. Conosceva il motivo di quella “gita improvvisata”; suo padre era giudice che stava presiedendo il processo contro alcuni degli uomini di Silvio Manfredi, il criminale noto come Silvermane.

Sapeva che quegli uomini volevano ucciderlo per rappresaglia contro suo padre.

Sapeva che non c’erano possibilità di salvarsi. Quel posto era deserto e nessuno sarebbe corso in suo soccorso. E le suppliche non avrebbero commosso di certo questi uomini spietati, a cui uccidere non faceva né caldo né freddo.

Allora l’unica cosa che poteva fare Peter Fowler era pregare. Ma non per se stesso, per i suoi cari.

Pregava che quei mafiosi non arrivassero a loro, che la sua morte fosse sufficiente a placare la loro sete di sangue. E che non fosse doloroso.

<Ci siamo, fermati. Inginocchiati.>

Le gambe gli si indurirono, non ne volevano sapere di obbedire.

<Sei sordo? T’ho detto di inginocchiarti!> il sicario fece segno al suo socio, e questi colpì Pete con un calcio dietro le ginocchia, facendolo cadere sul terreno sudicio. Si rialzò tremando come una foglia. Era terrorizzato, e non riusciva ad emettere neppure un fiato. Sentì tirare il cane di una pistola e per un attimo ebbe l’impressione che il suo cuore si fosse fermato.

<Non alla testa> disse il primo <Devono poter riconoscere il cadavere. Due colpi tra le scapole.>

Ci fu il boato di un colpo di pistola, seguito da un urlo di dolore, ma non fu Pete a gridare.

Ad emetterlo era stato uno dei due sequestratori, colpito alla schiena da un pugno ben piazzato.

Il suo socio si voltò di scatto per vedere chi era stato a colpirlo, tra paura e stupore.

<C-CHI SEI?>

<Non lo capisci da solo, buffone? Usa un po’ d’immaginazione ...>

In effetti il suo aspetto parlava chiaro: indossava un costume il cui design identico a quello del Vendicatore africano Pantera Nera, con la sola differenza  di essere completamente bianco, a parte delle striature nere su braccia, gambe e schiena.

<Sono la TIGRE BIANCA, deficiente. E per voi i giochi sono finiti!> disse, con poca fantasia.

Lo scagnozzo estrasse dalla fondina una pistola e gliela puntò, ma un calcio rapido come un fulmine gli spezzò il polso, facendogli cadere l’arma, seguito da un pugno al torace che gli tolse il respiro, e infine un colpo inferto col palmo della mano alla mandibola che lo mise KO.

Nel frattempo l’altro si riprese, e infilatosi il tirapugni cercò di ricambiargli la cortesia, ma il suo gancio destro venne bloccato senza problemi. Il suo braccio venne spezzato all’altezza del gomito, facendogli fare un urlo lancinante, per poi venire messo a tacere con un calcio rotante allo sterno.

Pete aveva assistito allo scontro impotente e completamente paralizzato. La figura mascherata era inquietante, ma gli aveva appena salvato la vita.

<Stai bene?> gli chiese.

< S-S..., sì... s-sto bene... Cristo, stava per uccidermi...> rispose, tremante come una foglia.

< Sta tranquillo, hanno finito di fare i loro sporchi affari. Questi bastardi hanno i giorni contati...>

<Ma tu... c-chi sei?>

<Te l’ho detto... mi chiamo Tigre Bianca.> disse, dandogli le spalle e allontanandosi da lì.

 

Federal Metropolitan Correctional Center, New York. Il mattino dopo.

 

Silvio Manfredi era un uomo potente. Era rinchiuso in carcere, ma indossava un’elegante vestaglia di seta, sedeva su una comoda poltrona e fumava sigari costosi. Anche la cella di un carcere può diventare confortevole, quando puoi corrompere le guardie. Potere che può dare solo il denaro. Inoltre, il boss noto come Silvermane stava pure per ricevere una visita... per quanto inaspettata.

<Buon giorno Silvio...> disse una voce dal nulla.

<Ma chi minchia ...>

<Sta calmo... sono un vecchio amico passato a trovarti.>

Una figura maschile avvolta in una cappa rossastra apparve improvvisamente. Il cappuccio stregato che gli donava l’invisibilità rese nuovamente visibile l’uomo che con scarsa fantasia si faceva chiamare Hood.

<Parker Robbins... dovevo capirlo. Che ci fai qui?>

<Sono qui per parlarti d’affari.  Una proposta di...>

< “... quelle che non si possono rifiutare?” Battuta vecchia, stra-abusatal. Aggiornati ragazzo...>

<Touché.  Hai ragione, vecchio mio...  ma ho una passione per i classici. E la mia, credimi, era davvero un’offerta golosa... >

<E sentiamo, cosa avresti da proporre?>

<Ho messo su un’organizzazione. Gente esperta, molto in gamba.  Vogliamo subentrare. Il tuo territorio arriva fino a Brooklyn... non male, ma con una gestione più fresca... la mia, possiamo allargarci, coprire un territorio più ampio. Significano maggiori introiti, bei soldi... di cui tu riceveresti il 15 % a vita. Una pensione d’oro che potresti goderti non in questa cella umida ma magari in una spiaggia tropicale. Come puoi vedere coi tuoi occhi, entrare e uscire dal carcere è uno scherzo, per uno con le mie doti. Dì di sì e sarai fuori di qui in men che non si dica.>

Manfredi gli fissò quel ghigno arrogante sul volto. Fece un lungo tiro al suo sigaro e gli soffiò in faccia una nuvola di fumo, poi spense il sigaro nel posacenere, e afferrò la tazzina di caffè e un cucchiaino, mescolando con incedere quasi teatrale.

<E bravo il nostro Parker... vedo che ne hai fatto di strada da quando era un pesce piccolo e venivi a bussare alla mia porta per ottenere un lavoro... >

<Allora Silvio, ci stai, sì o no?> tagliò corto lui, facendo intendere di non voler prolungare la conversazione.

<E mi dai pure del tu... ora stammi a sentire, piccolo pisciasotto: punto primo, per te sono – e sarò sempre –  mister Silvermane. Secondo, non ho alcuna intenzione di cederti il mio territorio... non ho alcuna intenzione di ritirarmi.  Te e la tua “organizzazione” vi sgonfierete come un palloncino... ne ho visti tanti come te, giovani rampanti decisi a farsi largo in questo business... ma questo era un gioco per grandi.

Per squali, non per pesci piccoli come te. Ti senti potente perché hai trovato quella cappa magica che ti rende un fantasma? Io stavo nel giro quando tu andavi in giro coi calzoni corti, a scippare le vecchiette! Ora vattene di qui... e dormi con un occhio aperto!> disse, sorseggiando il suo caffè con aria fiera.

<Mi dispiace sentirti parlare così... ma me lo immaginavo. Manderò una corona di fiori al tuo funerale...>

<Cosa fai, mi minacci? Ma guarda che io ti...> fece per alzarsi dalla poltrona ma sentì una fitta al petto.

La gola cominciò a bruciargli, si sentì mancare l’aria. Iniziò a tossire e a vomitare sangue. Cadde sul pavimento, in preda al dolore. Fissò la tazzina davanti ai suoi occhi e in un istante capì cos’era accaduto: Robbins gli aveva messo del veleno nel caffè.

<Parker... sei un maledetto figlio di...>

<Per te sono il signor Hood...>  disse l’altro tornando a rendersi invisibile.

Silvio Manfredi morì pochi minuti dopo.

 

Coney Island.

<Sei pronto?>

<Citando un mio illustre omonimo “io sono nato pronto”. Fatti sotto pupa!>

In tutta risposta Maya Lopez gli sferrò un paio di jab, ma Clint li evitò facilmente. La ragazza saltellava per tutto il tatami, agile veloce ed elegante. Clint era piazzato al centro, osservando ogni sua movenza e aspettando il prossimo attacco.

<Vuoi batterti oppure mi hai invitato per uno spettacolo di balletto? Avanti!>

<Come vuoi...> piazzò due velocissimi calci ma la guardia del biondo evitò che i colpi andassero a segno. Lui cercò di colpirla con un gancio, ma Maya schivò abbassandosi.

Iniziarono a scambiarsi colpi: quelli della donna erano più numerosi, quelli di Barton più pesanti.

Lei affondò col sinistro, lui lo evitò e colpì con un gancio destro portato dal basso verso l’alto.

<Ow... però. Picchi forte...> disse lei, toccandosi il fianco colpito.

<Mi sono allenato parecchio.>

<Ora ti faccio vedere io...> Maya gli si scagliò contro e gli afferrò le gambe in una presa a forbice, facendogli perdere l’equilibrio. Una volta a terra la donna gli fu addosso, bloccandolo per i polsi.

<Ti ho atterrato. Ho vin...>

Clint la baciò, e Maya ricambiò il gesto affettuoso. Si abbracciarono e rimasero per alcuni minuti a scambiarsi effusioni.

<Beh una conclusione migliore del nostro ultimo combattimento, non trovi? [Nel num. 6 ]>

<Decisamente migliore... >

I due si rialzarono in piedi, sorridendosi.

<Allora, che ne pensi del posto? Ti piace?>

<Per piacermi mi piace, Clint... solo che ... insomma non sei tenuto a farlo.>

<Sto solo dando una mano ad una ragazza a rimettersi in piedi. Quei mafiosi ti hanno fatto saltare la casa e hanno mandato a monte la tua mostra. Questo posto sarà un’ottima occasione per te per ripartire. Possiamo trasformarla in un dojo. Potresti insegnare autodifesa. Con Kate hai fatto un ottimo lavoro.>

< Sì, non discuto su questo... è che la tua generosità m’imbarazza. Mi hai dato un tetto, e ora fai da garante per farmi avere il prestito necessario per aprire una palestra... cerca di capirmi,  non è che non lo apprezzi, ma mi fa sentire tremendamente in imbarazzo. Non sono il genere di donna che dipende in tutto e per tutto dal suo uomo... e non voglio esserlo.>

<Un uomo non può aiutare la sua ragazza mentre si trova in difficoltà? Andiamo... la fondazione Maria Stark mi facilita l’erogazione del prestito. Sono agevolato. Appena ti sarai ripresa, mi restituirai tutto, ne sono sicuro.>

Lei lo fissò negli occhi.

<Cos’ho fatto per meritarmi tanta fiducia, Clint?>

<So che sei una brava ragazza, Maya. So che non mi deluderai.>

Ma la dolcezza mostratagli la faceva sentire ancora più in imbarazzo.

 

Ritornarono a casa e mentre salivano le scale incrociarono Jessica O’Leary.  La ragazza si sentì immediatamente a disagio. Provava dei forti sentimenti per Clint e per questo motivo, da quando si era fidanzato con Maya lei aveva preso ad evitarlo.

<Ehi ciao Jess... >

<Uh, ciao Clint...> disse, distogliendo lo sguardo.

<Come stai vicina? E’ un po’ che non ti si vede...>

<E’ che ho avuto molto da fare...>

<Ma va tutto bene?>

< Sì. Sì certo, tutto bene.>

<Senti, noi, il tempo di darci una rinfrescata e di cambiarci d’abito e andiamo a mangiare un boccone. Sei dei nostri?>

<No Clint, grazie. Ma per stavolta passo.>

<Eddai, non farti pregare...>

<T’ho detto di no, Clint. Sono impegnata, non posso.>

<D’accordo, come vuoi... sarà per un'altra volta allora.>

<Un’altra volta, sì.  Adesso vi saluto. Ciao.>  disse, entrando nel suo appartamento.

Maya osservò tutta la scena in disparte, in silenzio. Poi disse a Clint.

<Credevo che mi avessi detto che te tra e quella ragazza non ci fosse stato nulla...>

<Infatti era così. Siamo solo amici. Perché dovrei mentirti?>

Maya lo fissò a lungo, poi scosse la testa e sorridendo affermò:

<Mio dio Barton... per essere uno che si fa chiamare “Occhio di Falco” a volte non vedi le cose più evidenti...>

Entrarono dell’appartamento e Clint accese la televisione.

<Senti, vai tu per prima sotto la doccia? Voglio vedere il servizio sui Lakers...>

<Oppure potremmo andarci insieme... che pensi?>

<Mmmmm... mi pare un’ottima idea ...>

Stavano per riabbracciarsi, quando alla TV Maya vide una notizia che la fece irrigidire.

<Ehi... che t’è preso?>

<Il TG... > disse lei con aria sorpresa.

Clint si voltò e vide cos’era che aveva sconvolto la sua ragazza: il notiziario stava riportando la notizia della morte di Silvio Manfredi, alias il boss della mala noto come Silvermane.

<Mike...> sospirò lei.

 

Quella sera.

 

Vivere in un quartiere elegante può dare la sensazione di abitare in un’oasi felice, dove il crimine quasi non esiste, ma non è così. Kate Bishop alias Black Arrow lo sa bene, sa quali sono i vizi e le depravazioni di cui son capaci i ricchi.  I media spesso fanno credere che la violenza e la criminalità siano un’esclusiva dei quartieri poveri e delle minoranze etniche, ma non è così.

La giovane eroina era di pattuglia a Central Park West quando la sua attenzione fu catturata da quello che stava accadendo  in una palazzina vicina tra un uomo e una donna.

Si mise ad osservare bene la situazione, esaminando con attenzione ogni dettaglio: lui era sulla quarantina e aveva l’aria del tipo pieno di soldi; lei era sui 25 anni al massimo, fisico da modella, tipica bellezza latina.

Dai loro abiti sembrava che i due fossero appena tornati da un party, e che lui fosse ubriaco o fatto di cocaina...  o entrambe le cose, molto più probabilmente.

Stavano avendo una discussione molto accesa, incuranti dell’orario e che i loro schiamazzi potessero infastidire i vicini. Black Arrow li fissava pronta a scattare, perché il suo istinto le stava suggerendo quanto stava per accadere; ad un certo punto della discussione l’uomo colpì la donna con un ceffone, facendola cadere a terra. Le tirò poi i capelli, facendola alzare di scatto e poi spingendola con forza sul letto adiacente e iniziando a slacciarsi la cintura.

Quella scena bastò a farle stringere lo stomaco e a procurarle uno scatto d’ira; incoccò una freccia e la puntò verso la finestra, lasciò andare la corda e questa andò a piantarsi contro la parte della camera da letto, spaventando la coppia per l’improvvisata. Ma era soltanto l’inizio: Black Arrow entrò dalla finestra mandandola in frantumi, facendo un'entrata drammatica e spettacolare, attirando l’attenzione dei presenti.

<CHI CAZZO SEI TU? COSA CI FAI IN CAMERA MIA??>

<Sono qui per impedirti di dar sfogo da tuo testosterone, schifoso maniaco...> disse lei, visibilmente irritata.

<Brutta puttanella, io chiamo la polizia adesso e ti... > non terminò la frase Kate lo colpì al polso con un calcio, facendo cadere il telefono, e poi con un pugno al plesso solare gli tolse il fiato, piegandolo in due dal dolore.

<Cosa volevi fare, eh grand’uomo?> disse mettendosi tra la ragazza, spaventata, e l’uomo.

 < Darle “una lezione” uh? Farle capire “chi è che comanda?”  darle “quello che si merita”? Eh campione? Non è così?> Kate non poteva sopportare la violenza sulle donne. Di tutti i crimini, era quello che la faceva imbestialire maggiormente. Il suo primo caso era stato proprio quello di fermare un assassino stupratore [nel num. 1] e le ragioni per quell’ira provenivano dai meandri più oscuri della sua memoria.

Nonostante l’uomo fosse neutralizzato e la ragazza in salvo non si sbollì minimamente e continuò a colpire, finché il volto del suo avversario non fu livido e sanguinante e lui privo di sensi.

Rimase a prendere fiato; pur non essendo stato un vero e proprio combattimento, l’adrenalina e l’agitazione le avevano fatto venire il fiatone. I brutti ricordi le tornavano a galla; quel terribile giorno che le cambiò la vita era stato sepolto, ma mai dimenticato.

La ragazza che aveva salvato pareva più spaventata da lei che da quello che stava per subire, e questa cosa per lei inusuale la fece tornare in sé. Prese il cellulare del tizio e glielo porse.

<Chiama la polizia, non avere paura di denunciarlo. E se per caso torna a farsi vivo, digli che tornerò anche io per completare l’opera...> e con questa frase minacciosa si congedò, saltando dalla finestra dalla quale era entrata.

 

Altrove.

 

L’uomo coi rasta si faceva chiamare Willy Edmond, ma non era il nome con cui era nato.

Diceva di venire da Chicago, ma anche questo non era vero.

Erano in pochi a sapere che il suo vero nome era Willis Stryker e veniva da Harlem.

Una serie di cataclismatici eventi lo avevano portato a cambiare volto e nome, “seppellendo” Stryker e cominciando una nuova vita, deciso a fare una scalata nel mondo del crimine organizzato. Willy era ambizioso, e si era associato con un uomo la cui ambizione era grande quanto la sua ...

<Hood.> disse avvertendo dei passi <E’ andato come previsto?> chiese.

<Non hai visto i TG? La notizia è ormai di dominio pubblico: Silvio Manfredi è morto. > rispose Parker Robbins.

<Perfetto. Ero certo che il vecchio non avrebbe accettato di farsi da parte... è sempre così, con quelle mummie, non capiscono mai quando è venuto il loro tempo ...>

<Dici bene, amico mio>  rispose Hood, stappando una bottiglia di champagne < Questa città ha bisogno di una nuova gestione, gente fresca, con idee nuove, come noi. I vecchi boss sono ormai superati. Da quando i federali si sono fatti Kingpin questa città è priva di controllo. Suo figlio Richard e Jimmy Fortunato hanno fatto i salti mortali per mantenere una sorta di tregua tra le famiglie, ma non può durare; è il momento di agitare un po’ le acque... >

<Che mi dici di quel tizio... il “coordinatore”?>  chiese Edmond <Un altro che premeva per la tregua.>

<Pare sia caduto pure lui. L’Uomo Ragno, credo. Non c’è più nessuno che può intralciare il nostro progetto Willy:  scateneremo una guerra, proprio ora che non se lo aspettano. Li colpiremo duro: prima ci prenderemo i territori di Manfredi, poi ci espanderemo... il Gufo s’è dato alla macchia, Testa di Martello è un povero bifolco ignorante, non mi fa paura...  molto presto questa città sarà nostra ...>

<Che mi dici di Richard Fisk?>

<A lui ci penso io... tu e Miguel Lobo invece pensate alla seconda parte del piano.> disse facendo un tintinnare il suo bicchiere contro quello del suo socio.

 

La sera dopo. Little Italy.

 

Sal Pennino era uno dei luogotenenti di Silvermane, ma era stato arrestato da un agente infiltrato, il superpoliziotto italiano Angelo Conti, noto come Titano. Il suo posto era stato preso da Tony Salento: un uomo che sembrava essere disposto a tutto per rovinare l’immagine degli italiani nel mondo.

Grasso, rosso, violento, puzzava sempre di sigaro e aglio. Uno stereotipo vivente.

Se avessero fatto  un film su di lui, lo avrebbero sicuramente fatto interpretare da Burt Young o a Paul Sorvino.

Tra tutti i luogotenenti di suo padre, Tony era quello che Mike Manfredi odiava di più. 

Con la morte del boss molto probabilmente Tony avrebbe visto la sua posizione salire di livello, e Michael lo voleva impedire; per questo motivo questa sera aveva deciso di venire qui al locale di Tony, chiuso al pubblico per lutto, e impartirgli una lezione. Aveva attivato il potere di quel suo amuleto,  s’era rivestito del suo costume bianco e aveva fatto irruzione, ma anziché un'accoglienza ostile quello che trovò una volta all’interno era un ambiente sinistramente silenzioso. Come in un cimitero. Le luci erano spente.

Un’atmosfera decisamente inquietante. 

Avanzò lentamente quando il suo stivale bianco incappò un una pozza rossa.  Non pensò minimamente a della salsa e sapendo di cosa si trattasse andò con le dita a cercare l’interruttore della luce, temendo il peggio...  ma lo spettacolo era ancor più spaventoso di quello che immaginava:  Tony e i suoi uomini erano stati fatti letteralmente a pezzi.  Alcuni uomini sembravano essere stati sbranati da una belva feroce, come un orso, mentre altri portavano segni di armi bianche. Tony Salento giaceva a terra con un grosso pugnale nel petto.

Un segnale da parte dell’assassino, forse?

Mike sollevò la maschera da Tigre Bianca e diede di stomaco. Non erano i primi cadaveri che vedeva in vita sua, ma erano i primi ad essere stati smembrati in quel modo.

Una bella differenza rispetto a ferite da arma da fuoco a cui aveva assistito.

Quando finì di vomitare uscì dal ristorante a prendere una boccata d’aria.

Chi aveva compiuto quel massacro? E per quale motivo?  Domande di questo genere gli riempivano la mente quando all’improvviso una voce richiamò la sua attenzione:

<EHI! DEV’ESSERE STATO LUI! PRENDIAMOLO!>

Altri uomini di Salento dovevano essere entrati dal retro e avevano assistito al suo stesso spettacolo, arrivando all’errata conclusione che fosse stato lui a massacrare i loro uomini.

La situazione si faceva decisamente più complicata, ma la Tigre Bianca era venuta fin lì per combattere e non si sarebbe tirata indietro.

 

Nel frattempo, poco distante...

 

Maya s’era rabbuiata da quando aveva sentito della morte di Silvermane. Temeva per la sorte del suo amico Mike, il figlio ribelle del boss. “Ho paura possa fare qualcosa di stupido”disse  a Clint e per questo aveva cominciato a preoccuparsi. Aveva provato a contattarlo ma il suo amico non rispondeva alle chiamate.

“Non preoccuparti” le rispose Clint “andrò a cercarlo io, se temi che qualcuno possa fargli del male” e per questo motivo Occhio di Falco era andato di pattuglia nel quartiere di Little Italy.

Non sapeva molto di questo Mike, se non che era  un buon amico di Maya e forse, in passato, qualcosa di più. Da quanto gli aveva detto lei , il ragazzo non c’entrava nulla coi loschi affari di famiglia, anzi detestava il crimine, e lui non aveva motivo di non credere alle parole della ragazza.

Inoltre, Mike l’anno precedente lo aveva aiutato a fuggire dalla trappola tesagli da Taskmaster  [nel num 11]  mascherandosi dal criminale Ala Nera. Perciò, come minimo gliene doveva una.

Occhio di Falco girava nel quartiere, intenzionato a fare domande, quando udì il rumore di spari e si diresse in quella direzione: davanti ad un ristorante, infatti, alcuni gangster se le stavano dando con un tizio in costume.

L’uomo col costume bianco era abile, incredibilmente veloce e molto rapido nello schivare e dare colpi, ma doveva essere un novizio. Combatteva a viso aperto, senza paura, non accorgendosi che i suoi avversari lo stavano lentamente accerchiando.

Uno di loro stava per prenderlo di mira. Falco allora estrasse dalla sua faretra la freccia-ariete: aveva sulla punta un cilindro di plastica rigida, apparentemente innocuo, ma quando sparato dall’arco del Vendicatore colpiva come un diretto di Tyson, in questo modo Clint poteva fermare i suoi nemici senza ricorrere all’uso della forza letale. Incoccò, prese al mira e un attimo dopo la freccia andò a colpire il malintenzionato dritto al volto, mettendolo K.O.

Gli altri mafiosi si voltarono verso di lui.

<C’è n’è un altro di questi buffoni!>

Anche la Tigre si voltò e vide Occhio di Falco lanciarsi dal tetto verso i gangster, agile come un artista circense, fulmineo nei movimenti, con un sorriso beffardo sul volto, come se fosse la cosa più naturale del mondo. C’era di che da ammirarlo.

<Ragazzo, prendi una boccata d’aria e spostati dalla linea di tiro!> disse Falco, incoccando una  freccia-fumogeno e tirandola verso i mafiosi: la nube li circondò e impedì loro di prendere la mira e sparare con le loro Beretta.

<Ora dammi una mano a stenderli. Facciamo alla svelta!>

Dopo un secondo d’esitazione la Tigre gli andò dietro e sferrando pugni e calci in coppia con l’arciere viola, in men che non si dica lo scontro impari s’era concluso con una vittoria.

La nube si dissolse e i due uomini mascherati erano gli unici due rimasti in piedi.

<Tu devi essere la Tigre Bianca, suppongo...>

<Oh, finalmente; uno che l’ha capito subito! Era tanto complicato??> sospirò Mike.

<Beh no: non mi chiamo “Occhio di Falco” per caso sai? La tua maschera ricorda il mio compagno Pantera Nera, ma sei bianco e con le strisce nere ... o sei lui o l’Uomo Zebra ... > scherzò Clint.

<No no> sorrise Mike sotto la maschera <Buona la prima: sono la Tigre Bianca.>

<Ma non quella che conoscevo io, naturalmente ... sei diverso. Che legami hai con  Hector Ayala?>

<Chi?>

<Lascia perdere, dimentica la mia domanda...>  sospirò Clint.

Evidentemente il ragazzo non aveva legami col suo predecessore... o comunque, aveva il diritto di mantenere una certa privacy, riguardo la sua identità e le proprie origini.

<Senti, uh... non vorrei sembrarti ingrato ma... che cosa ci fai tu qui?> chiese la Tigre.

<Cercavo una persona quando ho sentito degli spari e sono intervenuto. Cosa sta succedendo qui?>

<Dentro al ristorante ... hanno compiuto una strage. Conosci Silvio Manfredi, Silvermane?>

<Cos’è una battuta? E tu conosci il cubano Fidel?> rispose sarcastico il Vendicatore.

<Giusto. Beh, pare che qualcuno abbia fatto fuori uno dei suoi luogotenenti... questo locale apparteneva a lui. E questi scagnozzi hanno pensato che fossi stato io.>

Mentre parlavano erano si erano fermati sulla soglia del locale e  Clint aveva gettato un’occhiata all’interno.

<Ma non sei stato tu, giusto?>

<No di certo! Come puoi pensarlo?>

<Sta calmo...  dal macello che ho visto dentro, gli aggressori devono essere stati almeno due. E uno di essi dev’essere un metaumano o un mutante. L’altro un esperto di armi bianche.>

<E l’hai capito con una sola occhiata??> domandò incredulo Mike.

<Ripeto, non mi chiamo così per caso... e ho purtroppo molta esperienza in questo giro. Dobbiamo capire chi è stato.>

<Giusto. E come facciamo?>

<Come? Ma nel modo più classico; si vede che sei nuovo del mestiere...> disse Falco sorridendo, indicò uno degli scagnozzi che aveva colpito, steso a pochi metri da loro.

<Nelle mia cintura ho dei sali. Ora lo facciamo rinvenire e lo interroghiamo. E’ un vecchio trucchetto, io faccio le domande e tu lo minacci. Vedrai, parlerà come un canarino... >

<OK. Facciamolo.>

Mike aveva dei sentimenti contrastanti verso Falco.  Da una parte lo ammirava, e gli era grato per il suo aiuto... dall’altra, provava per lui una sorta di complesso e di gelosia, dato che sapeva che sotto la maschera si celava l’uomo per il quale Maya lo aveva lasciato.

Occhio di Falco fece rinvenire l’uomo e si preparava all’interrogatorio.

<Pronto amico? Ci sei? Ben sveglio! Ora dicci:  perché tu e i tuoi bifolchi compagni avete attaccato il mio amico?>

<I-Io ... cioè... là dentro... è stato lui... i-i nostri uomini...>

<Quando sono entrato erano già morti!> disse la Tigre.

<Il vostro tempismo è comunque notevole. Perché siete venuti? Che cosa avevate in ballo stasera?> domandò ancora Falco.

<Noi... corre voce in giro che ad ammazzare il vecchio boss è stato un tizio di nome Hood. Si diceva da un po’ di tempo che volesse subentrare nel territorio, ma nessuno finora lo aveva preso sul serio. Però dopo che Silvermane è crepato in cella abbiamo iniziato a crederci. Stasera dovevamo organizzare un colpo contro la sua organizzazione ma...>

<Vi hanno preceduto, chiaramente. >  sospirò amaramente Occhio di Falco, lasciando andare il bavero dell’uomo. Falco rimase a pensare silenziosamente. Il criminale, lasciato libero, iniziò a scappare.

<Ehi! Non lo lascerai andare!> esclamò la Tigre Bianca.

<Non ti agitare, lasciami riflettere...>  disse Clint, con tono calmo.  Senza alzare gli occhi dal terreno, preso dai suoi pensiero, incoccò una delle sue frecce ariete e tirò in direzione del criminale in fuga: prima che questi raggiungesse la fine del vicolo, la freccia lo colpì alla nuca, mandandolo nuovamente K.O.

<Fantastico!> esclamò la Tigre, a bocca aperta sotto la maschera <e senza nemmeno mirare... ma come hai fatto?>

<Tu hai i tuoi trucchi, io i miei.> sentenziò Clint  <Piuttosto quello che ci ha detto che mi preoccupa.  Ha fatto il nome di Hood...>

<Ho sentito. E chi è?>

<Il suo vero nome è Parker Robbins ed è una spina nel fianco da un po’ di tempo a questa parte. Non sono riuscito ancora a catturarlo. Temevo che prima o poi si sarebbe rifatto vivo, ma non immaginavo avesse tali ambizioni. Ammazzare un vecchio boss per prenderne il posto è solo l’inizio... se è come temo, è solo l’inizio. Porterà ad un bagno di sangue tra le varie famiglie...>

<Dobbiamo fermarlo.> disse la Tigre, risoluto.

<Senz’altro. Questa è roba che scotta. Devo spargere la voce tra i vari giustizieri di quartiere, sentire quello che sanno... >

<Vengo con te...>

<No, adesso pensa ad avvisare la polizia. Devo riflettere. Mi faccio vivo io...> e così dicendo, scoccò una freccia-cavo e sparì sopra un tetto adiacente.

<Si beh... anche io ho il mio da fare...> sospirò Mike.

 

Qualche giorno dopo. Cimitero di Cypress Hill, Brooklyn

 

L’autopsia di Silvio Manfredi alias Silvermane venne eseguita a tempo di record e dopo  un paio di  giorni diedero concesso il benestare per celebrare il funerale.

Al cimitero c’erano un sacco di poliziotti, di agenti federali e ovviamente di rappresentanti di altre famiglie mafiose: uomini di Testa di Martello, del  Gufo, rappresentanti della famiglia Nefaria, uomini di Richard Fisk o del boss di Harlem, Morgan... la feccia della società, pensava Michael Manfredi.

Lui aveva rescisso i legami con la famiglia e con suo padre tanto tempo prima, quando un’autobomba destinata al bosso uccise sua madre, Anita, seconda moglie del boss, facendola in mille pezzi. Mike non aveva mai del tutto superato quella morte e aveva sempre ritenuto suo padre il vero colpevole della sua morte.

Non avrebbe minimamente voluto parteciparvi ... ma era in pena per il suo fratellastro Joey: Joseph Manfredi, alias il sicario noto come Ala Nera diveniva da questo momento il nuovo boss della famiglia Manfredi. Tutti si accostavano a Joey per porgergli le condoglianze e allo stesso tempo mostrargli il rispetto per la nuova nomina. Joey non fiatava. Impossibile dire a cosa stesse pensando.

Ma come nuovo boss era senz’altro il bersaglio primario di questo Hood, dedusse giustamente Mike.

Mike voleva bene a Joseph. Sì, era un altro stupido assetato di potere e che traeva beneficio dai lochi affari della famiglia, ma lo aveva fatto più per ottenere l’approvazione paterna che per vera ambizione.

Anche il tetro costume di Ala Nera se l’era fatto più per guadagnarsi il rispetto di questi criminali.

Joey voleva a tutti i costi essere il “cocco di papà” ed essere “all’altezza del suo nome”... tutte regole assurde di quel mondo fatto di sangue, da come la vedeva Mike.

Aspettava il momento propizio per avvicinarsi a suo fratello per parlargli, quando una presenza femminile lo avvicinò.

<Mike...>

<Maya! Che ci fai qui?>

<Come “che ci fai qui?” sono giorni che ti cerco... ero in pena per te, da quando ho saputo di tuo padre...>

 <Ti ringrazio, ma sto bene.>

<Non fare così, Michael. Non con me. So che sono giorni tumultuosi per te, visto il nome che porti. Tutti ti avvicineranno per quelle motivazioni che detesti ed io...  volevo farti sapere che non sei da solo. Lo sai che puoi contare su di me.>

<Sinceramente ne dubito, Maya; hai già i tuoi casini a cui pensare... comunque, apprezzo il pensiero e ti ringrazio, ma non mi serve nulla.>

<Ti prego Mike...  non avercela con me. So che le mie recenti ... esperienze sono state difficili da accettare, ma tra noi c’è una forte amicizia. Io ti voglio bene e...>

<Davvero Maya, ti ringrazio, ma non adesso. Ne riparliamo ok?> disse freddamente, poi si allontanò, voltandole le spalle e diretto verso suo fratello.

<Ehi Joey... >

<Mike... > i due fratelli si abbracciarono affettuosamente.

<Joey ascoltami: dobbiamo parlare. Sei in pericolo.>

<Ma di che stai parlando?>

<Chi ha ammazzato papà adesso se la prenderà con te. Devi metterti in salvo. E’ la tua occasione per mollare tutto e metterti a fare una vita tranquilla, lontana da tutto questo. Noi...>

<Anche oggi Michael?? Anche oggi, davanti alla tomba di papà mi fai questi discorsi da donnicciola? Lo sai che li detestava! Cristo, mostra un po’ di rispetto!!  Se non vuoi far parte degli affari di famiglia mi sta bene, ma pianta con sti discorsi sul “mollare tutto” intesi? Siamo dei Manfredi, portiamo un nome importante! La nostra famiglia conta! Quanto al bastardo che ha ammazzato papà ha i giorni contati...>

Maya stava in disparte ad assistere la scena. Non riusciva bene a leggere le labbra di Joseph, ma dall’espressione triste di Mike era evidente che la conversazione non stava andando come egli voleva.

L’attenzione di tutti era rivolta alla salma del boss, ai suoi figli o agli ospiti illustri, e nessuno notò la Lincoln nera che passava a passo d’uomo.

Solo Maya notò il dettaglio mortale spuntare dal finestrino.

<MIKE GIU’!> gridò, lanciandosi su di lui e togliendolo dalla linea di tiro.

Una mitragliatrice aprì il fuoco dalla Lincoln, compiendo una strage.

Maya teneva giù Mike, che non faceva che ripetere il nome del fratello.

Quando la pioggia di proiettili si esaurì ci fu il momento per il panico e le urla isteriche.

<E’ STATO IL PUNITORE!!  E’ SENZ’ALTRO OPERA DEL PUNITORE!!> urlò qualcuno.

Tutti quanti si agitarono.

<Mike stai bene?> chiese Maya.

<Sì, sto bene... ma Joey ... oh no! Joey!>

Joseph Manfredi era stato  colpito al petto da un proiettile. Impossibile dire se fosse vivo o morto. Mike prese la sua testa fra le braccia, continuando a chiamarlo per nome.

Ora Michael Manfredi rimaneva l’ultimo discendete della famiglia Manfredi.

 

 

CONTINUA...

 

Le Note

 

 

Dopo una lunga pausa, riprendono le vicende di Occhio di Falco e la sua banda!

Credevo di aver esaurito tutto quanto c’era da dire su di lui e i suoi comprimari, sebbene a riguardare bene tutte le sue storie, ci sono ancora un paio di situazioni da chiarire e dubbi da sciogliere, come i piani di Hood e il destino di Michael Manfredi, da oggi come avete visto la nuova Tigre Bianca nell’universo Marvel IT.

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Come potete vedere, nell’universo Marvel USA la Tigre Bianca è attualmente una donna, ma il suo alias è stato attribuito a diversi personaggi.

 

Il primo , l’originale Tigre Bianca è stato Hector Ayala, uno dei primi personaggi ispanici della Marvel, creato da Bill Mantlo (testi) e George Perez (disegni) su Deadly Hands of Kung Fu n. 19 (dicembre 1975)

Questo personaggio, nella nostra continuty, è morto per mano di Fabio Volino su [Webspinners 36 ].

Come avete avuto modo di leggere, ho voluto creare un nuovo alias a questo personaggio, con un costume leggermente diverso da quello originale (bastato su quello attuale USA) e legandolo al mondo della mala italoamericana. Michael Manfredi è una mia invenzione originale, ispirato parzialmente al Michael Corleone della saga de Il padrino, mentre fisicamente vi suggerisco di immaginarlo con le fattezze di Milo Ventimiglia, protagonista della serie Heroes e dell’ultimo Rocky Balboa.

 

 

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    Silvio Manfredi aka Silvermane è invece una vecchia conoscenza dei lettori Marvel, apparso per la prima volta su Spider Man # 73 nel 1969. 

Criminale ossessionato dalla giovinezza, ha visto diverse incarnazioni che lo hanno visto invecchiare, ringiovanire e divenire un cyborg. Oggi per mano mia ha visto la fine della sua lunga vita.

 

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Anche Joseph Manfredi, fratellastro del personaggio da me inventato, è una vecchia conoscenza Marvel: col nome di Ala Nera (criminale dal look di pipistrello senz’altro ispirato a Batman) è stato creato da Gerry Conway e Don Heck come avversario di Daredevil nel 1975.

 

NEL PROSSIMO EPISODIO:  Cosa accadrà alla famiglia Manfredi? Quali sono i piani di Hood? E in mezzo a tutto questo come si muoveranno Falco, Maya e Kate?

Lo scopriremo solo leggendo...

 

 

Carmelo Mobilia